Il 151esimo Reggimento della Brigata Sassari
(de innoi partiant a su fronti = da qui partivano al fronte)
I fanti del 151° Reggimento Brigata Sassari partirono dal rione di Sant’Isidoro, estrema periferia nord di Sinnai. Allora, qui, nel 1915, c’era la chiesetta dedicata al Santo agricoltore, qualche casupola sparsa qua e là. Tempi lontanissimi che Sinnai non ha mai dimenticato dopo aver perso al fronte tantissimi dei suoi ragazzi, diventati troppo presto soldati.
Il Comune di Sinnai, proprio in quella località, ha dedicato ai 64 compaesani morti nella Grande Guerra, la piazza Brigata Sassari, ricordando i loro nomi:
Angelo Exana (morto sul Carso), Enrico Falqui (morto sul monte San Marco ), Raffaele Serreli, deceduto il 23 agosto 1918 nel campo di Milowice nell’attuale Repubblica Ceca, Paolo Tronci (morto ad Asiago). E ancora Giovanni Saddi, Giovanni Piga, Angelo Palmas, Francesco Orrù, Giuseppe Mameli, Giuseppe Lai, Giuseppe Ligas, Lazzaro Lillus, Angelo Loddo, Giuseppe Loi, Antonio Manis, Angelo Aledda, Angelo Asuni, Francesco Asuni, Raffaele Asuni, Francesco Bocchiddi, Pasquale Bullita, Maurizio Cappai, Salvatore e Venanzio Cinus. E ancora, Giovanni Cocco, Luigi Corda, Raffaele Etzi, Salvatore e Luigi Escana, Beniamino, Antonio e Luigi Melis, Raffaele Meloni, Antonio e Battista Mereu, Giovanni e Efisio Olla, Francesco e Salvatore Orrù, Angelo Palmasm Giovanni Pau, Giovanni Piga, Cesare Pilleri, Giovanni Pintura, Battista Pisano, Giovanni Pisu, Ernesto Porceddu, Giovanni Pusceddu, Angelo e Luigino Puxeddu, Salvatore Rubiu, Cesare Salis, Giovanni Scionis, Vincenzo Spanu.
Il primo Marzo di ogni anno viene celebrata la cerimonia di commemorazione che coinvolge le scolaresche, le autorità militari, civili e religiose con la deposizione di una corona d’alloro e la lettura dei nomi dei 64 Caduti di Sinnai durante la prima guerra mondiale.
In data 05/03/2015, a ricordo del Centenario dalla nascita del 151esimo Reggimento Brigata Sassari, l’Amministrazione Comunale ha insignito la cittadinanza onoraria e un annullo filatelico.
Qui li vediamo tutti assieme, caduti (in parte), mutilati e reduci:
I fanti decorati al valor militare nati a Sinnai, per la Grande Guerra, sono sei con medaglia d’argento e sei con la medaglia di bronzo.
Tante grandissime pagine di eroismo.
La costituzione della Brigata
La Brigata “Sassari”, fu costituita il 1° Marzo del 1915 aTempio Pausania (SS) e a Sinnai (CA), su due Reggimenti, il 151° e il 152° fanteria, composti interamente da Sardi. La nuova unità venne considerata l’erede delle tradizioni del Terçio de Cerdena (periodo aragonese-spagnolo) e del Reggimento di Sardegna (periodo Sabaudo).
Quale fu il motivo che indusse lo Stato Maggiore a costituire una Brigata composta di soli sardi?
Il 95% dei Sassarini apparteneva alle categorie dei contadini e dei pastori.
Lo Stato Maggiore si sarebbe dotato così di un gruppo operativo unito, culturalmente omogeneo, privo di influenze disgreganti, considerata l’assenza di figure impegnate politicamente contro il governo e la scarsa sindacalizzazione della popolazione delle campagne.
Il fine ultimo quindi sarebbe stato quello di gestire una forza di intervento il più possibile incline alle strategie dei comandi militari.
La risposta alla domanda è solo questa: “Il caso!”.
Sì, il caso, la fretta, la necessità di coprire le forze e gli organici, ma questo solo per il primo tempo. La “disponibilità” del sardo a lanciarsi sulle trincee nemiche, stupì certo lo Stato Maggiore, che riprendendosi però subito dalla sorpresa pensò bene di sfruttare a proprio favore questa caratteristica. Decise così di ridurre mano a mano la pluri-regionalità della Sassari, (in fase di costituzione una parte dei coscritti erano di origine romano-laziale), trasferendo alla Brigata i sardi degli altri reggimenti di fanteria. E visti i risultati, questa operazione si ripetette varie volte nell`arco del conflitto, come confermato da Leonardo Motzo e Emilio Lussu.
Anche Emilio Lussu ribadisce infatti, con le seguenti considerazioni, la continuata strategia dell’Alto Comando nella creazione, e nella conservazione, della Brigata su base regionale:
“Nella Brigata, si può dire che durante il corso della guerra passassero tutti i sardi aventi obblighi di guerra. E poiché nell`Isola fu fatta la leva in massa, alla quale si sottrassero solo i ciechi, vi passò tutta la Sardegna, nessun villaggio escluso. Per disposizione del Comando Supremo, i sardi inquadrati in altri reparti venivano man mano trasferiti alla Brigata. I vuoti che si creavano dopo ogni combattimento, sul Carso, sull`Altipiano d`Asiago, sull`Altipiano della Bainsizza, sul Piave, e poi ancora sull`Altipiano d`Asiago e sul Piave, venivano colmati da sardi. Nella prima azione offensiva svolta dall`esercito dopo Caporetto, e che prese il nome di battaglia di Col del Rosso — Col d`Ekele (Altipiano d`Asiago), le compagnie, essendosi precedentemente ridotte per le perdite subite a poche diecine d`uomini ciascuna, vennero ricomposte alla meglio in pochi giorni, col rastrellamento di tutti i sardi disseminati lungo tutto il fronte e nelle retrovie. Così ricomposta, la Brigata ruppe il fronte nemico. Anche i cappellani e i carabinieri addetti erano sardi.”
Nello specifico, alla Battaglia dei Tre Monti parteciparono alcune squadre composte in toto dai cosiddetti “ragazzi del `99”. Queste, lanciate nella mischia, furono quasi decimate ma resistettero mantendo gli obiettivi e le posizioni assegnate, contribuendo quanto i veterani alla vittoria finale.
Alla Brigata fu chiesto di conquistare, e soprattutto mantenere, le posizioni di Bosco Cappuccio, Bosco Lancia, Bosco Triangolare. La conquista delle posizioni antistanti la sella di S. Martino costarono alla Brigata la perdita di ben 2.420 uomini, fra i quali 464 i morti. Questi combattimenti furono però le prime eroiche tappe per l’attribuzione del primo titolo d’onore che la Brigata conquistò espugnando, nel novembre del 1915, le trincee delle “Frasche” e dei “Razzi”, dove i morti furono 337. Per queste azioni alla Brigata fu concessa la citazione diretta, per la prima volta nella storia dell`Esercito, sul bollettino del Comando Supremo:
“….Sul Carso è continuata ieri l’azione. Per tutto il giorno l’artiglieria nemica concentrò violento ed interrotto fuoco di pezzi di ogni calibro sul trinceramento delle Frasche, a fine di snidare le nostre fanterie. Gl’intrepidi Sardi della Brigata Sassari resistettero però saldamente sulle conquistate posizioni e con ammirevole slancio espugnarono altro vicino importante trinceramento detto dei Razzi. Fecero al nemico 278 prigionieri dei quali 11 ufficiali. Ecc…….
I fattori che crearono il mito della Brigata Sassari
Si fa così strada la convinzione che tanti e diversi furono i fattori che costruirono il mito della Brigata Sassarie lo resero quasi indistruttibile, ritengo inoltre che questi aspetti furono tutti di carattere autoctono, fra questi ma non solo:
– molte squadre furono formate, come già detto,dai componenti di un unico parentado, in questo modo si veniva a creare un organismo autonomo in termini di spirito di corpo, di responsabilità, di forza e coesione;
-la naturale tendenza del sardo a primeggiare, a porre in evidenza la “balentia” del singolo, induceva all`emulazione;
-la capacità del sardo di vivere in competizione con la natura avversa. Questo ha sempre fatto l’uomo di Sardegna, per il quale la guerra quotidiana contro il destino rientrava nella normalità delle cose della vita, anche se il sardo questa guerra preferisce farla in “su connottu” e con delle ragioni e per delle motivazioni che riconosce proprie nel profondo;
-altri gruppi furono formati da soli compaesani: nessuno di questi sarebbe potuto rientrare in paese senza aver adempiuto al proprio dovere, anche solo essendoci obbligato. Posso però pensare che tutti i nostri soldati, se avessero potuto, avrebbero lasciato la trincea e fatto ritorno a casa, per combattere comunque una guerra, ma una guerra che già conoscevano e per la quale valeva la pena anche morire: quella per la terra, per la vita e il sostentamento della famiglia;
I grandi risultati ottenuti dalla Brigata nei vari combattimenti sostenuti contro gli Austriaci, determinarono la nascita della leggenda e contribuirono, se mai ce ne fosse stato bisogno, all’ordinanza, del dicembre 1915, secondo la quale i sardi appartenenti ad altre brigate sarebbero dovuti confluire, tutti, nelle file della Sassari. In questo modo si tese a differenziare ancora di più la forza belligerante del sardo, “piccolo e scuro, con gli occhi sfavillanti e l’animo bellicoso…” da quella delle altre forze armate.
Camillo Bellieni, nel 1924, ricorda il Lussu “condottiero”:
Già dal novembre 1915 Emilio Lussu era uno degli ufficiali più anziani della brigata. Uno fra i fondatori del 151° a Cagliari.
Era partito col reggimento in quella deliziosa giornata di primavera inoltrata nella quale il fervido patriottismo insulare aveva coperto di fiori i figli di Sardegna che andavano a Roma per sfilare dinanzi al re prima di raggiungere il teatro della guerra.
“….Il Tenente Lussu! Nella quindicina di riposo, i soldati oramai ripuliti, con le divise nuove, le mostrine bianco-rosso fiammanti, lo ammiravano mentre passava di galoppo, diritto in sella, sul cavallo un po` bizzarro che a volta faceva degli scarti. Non cade certamente. E sorridevano con aria beffarda quando passava invece quel tale capitano che aveva bisogno d`afferrarsi all`arcione non appena il cavallo cominciava a caracollare.
L`Aiutante Maggiore del 3° Battaglione sapeva stare in sella, era un guidatore disinvolto e sicuro. Per un popolo di cavalieri qual`è il Sardo, che esige il corretto portamento in sella, e concepisce un elegante cavaliere come un necessario complemento alla perfezione. Anche delle forme del cavallo, queste virtù di contegno accrescevano il prestigio di Emilio Lussu.
Emilio Lussu era non soltanto ufficiale valoroso, elemento di affiatamento fra i colleghi che ne apprezzavano l`intelligenza e la signorilità, comandante capace di ispirare fiducia nei soldati, ma era anche un uomo di cuore. Fece la guerra convinto della necessità di essa, pronto al sacrificio, severo con sé e con gli altri, ma senza indulgere mai ad un sentimento di ferocia che più spesso di quel che non si creda, si faceva strada nei cuori.
Ricordo che di ritorno sullo Zebio, dopo la mia prima ferita, lo trovai stremato dall`angoscia, ridotto quasi ad un vecchio.
Mi abbracciò e gli spuntarono le lacrime. Poi mi disse piano, perché nessuno sentisse:
— Sono stanco sai, di fare il macellaio. Fino adesso avevo fatto l`ufficiale. Ora invece bisogna portare gli uomini al massacro senza scopo. Ed alla fine il cuore si spezza.
Io lo guardai in silenzio, non riuscendo a trovare una risposta.
Era il tempo della «viva pressione sulla fronte avversaria, alle pendici dello Zebio» quotidianamente annunziata dal comunicato Cadorna.
E la viva pressione consisteva nel lanciare i soldati sui reticolati nemici intatti, per un varco a 15 metri dagli austriaci, in cui bisognava passare per uno.
Una specie di tiro al piccione offerto ai Kaiserjaeger che si dilettavano di spaccare le teste ad una ad una, non appena comparivano allo scoperto. La pressione doveva continuare inesorabile, ed ogni giorno, sul lugubre varco limitato da sacchetti intrisi di sangue e di cervella, si ammucchiavano i cadaveri, sino a che non veniva raggiunto il numero dei morti prescritto dal Comando di Divisione. Allora un colpo di telefono, e dall`alto veniva l`ordine di sospendere l`azione.
Venti volte Emilio Lussu saltò fuori dalla trincea, e miracolosamente illeso andò a sbattere contro i cavalli di frisia nemici ancora intatti. Una singolare fortuna pareva accompagnarlo. Ed un giorno finalmente, di fronte alla stoltezza dell`olocausto di centinaia di soldati, senza alcun risultato, senza una visione d`assieme, senza alcuna probabilità di successo, la sua coscienza si ribellò all`ordine rinnovato di ricominciare alle dieci del mattino l`assalto quotidiano.
Chiamato dal Comandante la Divisione, fermo sull`attenti, ascoltò in silenzio le disposizioni impartite, sempre le stesse da quasi venti giorni. I Comandanti del 3° Battaglione, uccisi, feriti, ammalati, si avvicendavano vertiginosamente, e solo l`Aiutante maggiore restava, miracolosamente, a custodire la continuità del servizio.
— Ha inteso tenente? Mi dia assicurazioni per una immediata esecuzione.
— Signor no.
Il Generale lo guardò cogli occhi sbarrati.
Il tenente Lussu fermo sull`attenti, fissava il superiore parimenti in viso, senza alcuna arroganza, collo sguardo dell`uomo deciso.
— Come signor no! Non intende eseguire l`ordine?
— Signor no.
— Io lo faccio fucilare immediatamente.
— Signor sì.
Il Comandante incrociò le braccia.
Stette un po` sopra pensiero. Poi ad un tratto:
— Vada pure.
Per quel giorno l`azione fu sospesa.
— E` il più bello ufficiale dell`esercito — borbottò poi il Generale quasi fra sé — se tutti gli ufficiali avessero quel fegato, la guerra sarebbe già vinta da un pezzo.
Il Generale, che era un valoroso, diceva in quell`ora di sincerità una cosa profonda. Poiché fra le varie forme di coraggio, la più alta è quella di saper resistere ai propri superiori, se così impone la propria coscienza, specialmente quando si è dato sempre prova d`un`obbedienza pronta, rispettosa e assoluta. Vi sono momenti solenni in cui l`eroe dell`immediato adempimento deve saper diventare l`eroe del rifiuto.
Emilio Lussu fu un vero comandante, fu l`uomo dal pugno di ferro, giusto, conoscitore del cuore umano, pronto a premiare chi generosamente si offriva volontario, pronto a punire con la rivoltella il codardo che tentava sottrarsi al dovere. I soldati lo amavano, avevano in lui una cieca fiducia.
E nelle ore più solenni l`ufficiale rigido sapeva talmente confondersi con l`uomo di cuore, che dalla sintesi di queste opposte qualità sorgeva fuori una figura di dominatore, piena di fascino e di mistero.